La paura è un'emozione che aiuta l'individuo a proteggersi dalle situazioni di pericolo e a rispondere tempestivamente. Questa risorsa umana diventa disfunzionale quando si trasforma in ansia o in attacco di panico.
L'ansia è la paura che accompagna la persona orientata al futuro, un futuro percepito come catastrofico. Nel trattamento dell' ansia è pertanto opportuno sostenere la focalizzazione della persona nel presente e interrompere i meccanismi delle proiezioni al futuro.
L'attacco di panico invece è un episodio fortemente angosciante di ansia acuta, improvvisa, che si accompagna al terrore, alla paura di morire, sperimentato in un momento in cui per la persona non esiste reale minaccia esterna. La visione gestaltica dell'attacco di panico, lo definisce un episodio di ansia acuta senza adeguato contenimento dovuto all'improvvisa perdita di ground: ciò a cui sentiamo di appartenere abitualmente non ci appartiene più, crolla improvvisamente tutto il nostro sistema dei contatti scontati. Per quanto l'attacco di panico sia un'esperienza terrificante, il sintomo in terapia può essere visto come risorsa, che con un adeguato trattamento terapeutico, conduce la persona a scoprire e a fare affidamento a nuove modalità e più funzionali di contatto con il proprio Sè e con il mondo.
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Da un certo punto di vista, possiamo considerare la depressione come una "malattia dell'onnipotenza", che sopravviene quando la persona è costretta a confrontarsi coi propri limiti in seguito ad eventi dolorosi (che fanno parte della vita), sui quali non può avere controllo. Il depresso tende invece a viverli come sconfitta personale e con grande senso di colpa: quando qualcosa fallisce, il fallimento viene vissuto come sconfitta totale. La parte onnipotente della persona vorrebbe poter controllare tutto e ad un certo punto soccombe alla parte debole, che non ce la fa più, che si sente delusa, vittima, fallimento e che vorrebbe morire.
Nella persona depressa vi è anche grossa difficoltà a gestire i conflitti, a causa di una rigidità mentale che la porta a ragionare in maniera dicotomica (giusto vs sbagliato) e che preclude la possibilità di sentire autenticamente i propri bisogni e compiere una scelta appagante. Ha introiettato modelli esterni poco congruenti con i suoi reali bisogni e nello stesso tempo retroflette, non chiede cioè alle persone e all'ambiente ciò di cui ha bisogno per sfiducia appresa; evita di comunicare sentimenti e si esprime unicamente nel ritiro. Il lavoro terapeutico mira ad un riformulamento cognitivo sui temi della sfiducia, ad agevolare la presa di coscienza di ciò che accade dentro e dei reali bisogni, e a smuovere la persona dal ritiro del contatto per condurla nuovamente al desiderio di mettersi in relazione.
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IL LUTTO non è abituarsi all'assenza di qualcuno.
La persona che vive un lutto importante sperimenta una sorta di rottura della struttura interna del tempo, che rimane fisso e congelato, in un presente senza possibilità significative; resta solo un vano bisogno di ritrovare il passato perduto. Possiamo immaginarlo come una sedia a dondolo che non dondola in avanti e rimane fissa al centro con l 'unica possibilità di muoversi all'indietro (nel ricordo), per uscire dalla sensazione di quell'oscuro ed eterno presente e provare lievemente sollievo. Il lavoro terapeutico nel lutto mira al sostegno della sofferenza (che va espressa, compresa e vissuta fino in fondo per accettare la perdita e integrarla con significato alla propria storia personale), a ripristinare l'equilibrio interrotto fra tempo oggettivo e tempo soggettivo e alla creazione di nuove possibilità presenti e future mediante la relazione terapeutica.
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